mercoledì 6 luglio 2011

Anziani: allarme sulle reazioni avverse

40mila morti, 3,4 milioni di visite al pronto soccorso e oltre 1,7 milioni di giornate di degenza l'anno. Questa la stima dei danni legati alle reazioni avverse da farmaci (Adr), effettuata da Federanziani, attraverso il centro studi Sanità in cifre, che ha passato al settaccio 95 studi clinici pubblicati negli Usa e ha comparato i numeri americani, demografici ed economici, con popolazione e costi sanitari italiani. A emergere una vera e propria «strage silenziosa» che «costa 23 milioni di prestazioni medico-sanitarie non necessarie, 630 mila giorni di prolungamento del tempo di degenza che potevano essere evitati, e, tra Italia e America, una stima di 10 miliardi di euro di spesa in più». Una situazione preoccupante per Federanziani, che denuncia come il fenomeno colpisca in prevalenza gli anziani, sottoposti spesso a pluriterapie: in una situazione in cui le Adr rappresentano la quarta causa di morte negli Usa, non è accettabile che in Italia manchino studi approfonditi sulla materia. Anche perché, la stima effettuata dal centro studi può mostrare un indice di scostamento rispetto alla realtà americana di +/-20%. Per di più, continua Federanziani, «in Italia non si riscontrano dati significativi su ritiri dal commercio per ragioni di sicurezza, come invece avviene in Francia, Germania e Gran Bretagna». Immediata la risposta dell'Aifa, che «pur apprezzando l'intento dell'Associazione di sollevare una problematica importante come la Farmacovigilanza, da tempo all'attenzione delle autorità, rileva un profondo difetto metodologico. L'America non ha né un Servizio sanitario nazionale, né una rete territoriale di Farmacovigilanza, né un sistema capillare di tracciatura del farmaco, elementi di grande garanzia per il cittadino italiano. E l'Italia, solo negli ultimi dieci anni, ha ritirato 39 farmaci». L'Aifa, continua la nota, «ha anche intrapreso per prima un programma di sorveglianza post marketing per gli anziani».


Fonte: Farmacista33, 6 luglio 2011

lunedì 4 luglio 2011

Psicosi più precoce per chi fa uso di cannabis

Secondo un’accurata metanalisi pubblicata sugli Archives of General Psychiatry l’uso di sostanze psicoattive, e di cannabis in particolare, si associa allo sviluppo anticipato di 2-3 anni di disturbi psicotici.

L’uso di cannabis è stato più volte messo in rapporto con psicosi e altri disturbi psichiatrici, rapporto che per alcune ricerche sarebbe causale. Ci sono state anche osservazioni di un’associazione tra la sostanza e un’età d’insorgenza più precoce di queste forme, specie per la schizofrenia.
Sul nesso di causalità per lo sviluppo più precoce di tali disturbi, però, non tutti i ricercatori concordano. Un’accurata metanalisi di numerosi studi sull’argomento, che tiene conto delle varie difformità metodologiche e relative ai soggetti considerati, porta ora chiari elementi a sostegno di questa ipotesi. L’uso di cannabis sembra essere fortemente connesso con manifestazioni psicotiche anticipate e con sviluppo di psicosi, almeno in alcuni soggetti.
Non sono pochi i limiti dovuti alle differenze tra gli studi condotti, valutano gli autori di questa metanalisi, che sono ricorsi ai principali database dei relativi trial in lingua inglese: da variabili demografiche, a uso di altre sostanze, a trattamenti in atto, eccetera. Si sono individuati 443 studi dei quali 83 rispondevano ai criteri d’inclusione, per un totale di 8167 pazienti psicotici utilizzatori di sostanze psicoattive e 14.352 non utilizzatori.
L’età d‘esordio della psicosi negli utilizzatori di cannabis è apparsa inferiore di 2,7 anni rispetto ai non utilizzatori; nei pazienti con uso di sostanze di vario tipo l’anticipo è di 2 anni. Per quanto concerne l’alcol, invece, non è risultato un anticipo significativo.
Complessivamente, negli utilizzatori di sostanze l’età è risultata anticipata di 1,7 anni rispetto al gruppo controllo.
Si è messo in luce anche un esordio di psicosi più precoce nelle femmine che nei maschi (-3,4 anni contro -1,87), risultato però non significativo con l’analisi di meta-regressione. L’anticipo è stato più marcato tra chi aveva un utilizzo più pesante e continuativo di sostanze rispetto a chi faceva un uso più soft o aveva smesso (-2,72 anni contro -2,07) ma anche in questo caso senza significatività statistica.
Nella conclusione degli autori della metanalisi la più alta proporzione di pazienti psicotici utilizzatori di cannabis tra quanti usavano sostanze conferma una sua associazione con uno sviluppo più precoce di queste forme psichiatriche. Riguardo alla schizofrenia si era ipotizzato che la cannabis fosse un fattore causale, o favorente in soggetti vulnerabili o esacerbante, o che fosse più probabile che gli schizofrenici usassero tale sostanza. Da questo studio esce rafforzata la tesi che la cannabis precipiti la schizofrenia e gli altri disturbi psichiatrici, forse per un’interazione di fattori genetici e ambientali o interferenze cerebrali soprattutto in una delicata fase di maturazione come nell’adolescenza.
Non c’è supporto all’ipotesi che sviluppi psicosi precoci chi è più portato all’uso di tutte le sostanze, dato che l’associazione non emerge per l’alcol da solo, anche se resta da approfondire l’eventuale propensione di questi pazienti per certe sostanze, come il fumo. Quanto ai meccanismi, gli autori rilevano che rimane da chiarire se la cannabis e le altre sostanze abbiano un effetto neurotossico diretto, attraverso un’alterazione dell’attività della dopamina o modificazioni relative ad altri neurotrasmettitori, così come a quale livello gli effetti siano reversibili. In ogni caso, i risultati dell’analisi sostengono che riducendo la cannabis si possa ritardare o, al limite, prevenire alcuni casi di psicosi. Tuttavia, anche nelle persone che svilupperebbero comunque la psicosi, un ritardo di due-tre anni sarebbe importante in particolare nella transizione dalla tarda adolescenza all’età giovane-adulta, diminuendo sul lungo periodo le conseguenze del disturbo psicotico.


Fonte: Il Farmacista Online, 4 luglio 2011